a cura di Luciano Faccioli
tempo di lettura 3 min.
Parlare di emozioni non è facile. Non lo è perchè si tratta di aspetti psicologici molto complessi e il rischio è di scivolare in tecnicismi stucchevoli. C’è però anche il rischio contrario, di semplificare troppo la definizione rischiando e di scadere nel banale e, con tutto il rispetto, non intendo parlare di emozioni come se ne parlerebbe su una rivista di gossip o dal barbiere.
Allora faccio così: prendo in prestito la definizione di emozione che ha dato uno scienziato molto più bravo di me, Daniel Goleman, nel suo celeberrimo libro “Lintelligenza emotiva” e da lì parto.
“Io riferisco il termine emozione a un sentimento e ai pensieri, alle condizioni psicologiche e biologiche che lo contraddistinguono, nonchè ad una serie di propensioni ad agire” (D.G.).
Un’emozione quindi è uno stato interno, qualcosa che si sente dentro in reazione ad un evento, e che agisce contemporaneamente su vari livelli pervadendo l’intera sfera psicologica della persona (personale, relazionale e cognitiva) e biologica (neuro-vegetativa e fisica), provocando reazioni interne, pensieri e innescando azioni conseguenti.
Questo aspetto di multidimesionalità caratterizza le emozioni e le rende estremamente pervasive ed importanti per la vita di ognuno di noi, faccio un esempio, per rendere l’idea.
É notte, c’è freddo e nebbia. sto camminando verso casa e devo passare attraverso il parco completamente buio. L’idea di passare di lì, da solo e a quell’ora di notte, non mi piace per niente, ma purtroppo questa è l’unico percorso che posso fare perché sulla strada ci sono dei lavori e dovrei fare il giro dell’isolato allungando esageratamente il percorso, ma sono stanco, ho freddo e voglio arrivare a casa il prima possibile. Mi addentro nel parco camminando sulla stradina.
Poco dopo essere entrato nel parco, sento dietro di me un fruscio e sento chiaramente un respiro affannoso: immediatamente sento un calore salirmi al volto e alla testa. il cuore pulsare velocissimo e contemporaneamente la schiena che si raffredda. Le gambe iniziano a correre. Il tutto senza il mio controllo e il mio volere. Poi, appena iniziato a correre, sento chiaramente che dietro di me c’è qualcuno che mi sta per ghermire con qualcosa di non ben definito, la pancia si attorciglia e inizio a pensare che devo correre il più veloce possibile per sfuggire a questo pericolo. Finalmente sono arrivato in fondo al vialetto. Esco dal parco, sono sul marciapiede ansimante sotto un lampione, mi volto e non c’è nessuno, solo silenzio e calma.
Cosa è successo? In seguito alla percezione di un rumore è scattato un senso di pericolo e si è attivato il mio sistema viscerale: la pressione sanguigna e la frequenza cardiaca si sono alzate, ho iniziato a sudare. Tutto questo ha innescato automaticamente una risposta motoria bypassando completamente un’elaborazione cognitiva consapevole e, istantaneamente, ho iniziato a correre. Subito dopo questo “innesco”, mentre correvo, per opera del pensiero, ho costruito una realtà che, con il senno di poi, non so se fosse vera o fittizia, ma non importa; di fatto sentivo chiaramente che qualcuno dietro di me cercava di afferrarmi o colpirmi e quindi ho incrementato consapevolmente la corsa per arrivare il prima possibile alla fine del parco e mettermi in salvo.
L’esempio è volutamente un po’ estremo, ma l’ho fatto per rendere meglio l’idea di come un’emozione possa determinare lo stato neurovegetativo, imponendo una risposta motoria e condizionando i pensieri e le decisioni: questo intendo quando parlo di reazione multidimensionale.
La paura, l’emozione considerata nell’esempio del parco, al pari di altre emozioni come rabbia, tristezza, gioia, sorpresa e disgusto, è un’emozione primaria, cioè presente innatamente in ogni essere vivente. Queste emozioni hanno la funzione di farci reagire in maniera automatica, funzionale e adattiva di fronte alle situazioni della vita ed è grazie a loro se l’uomo non si è estinto, o meglio: per selezione naturale, gli esemplari della specie “homo sapiens” che avevano più spiccate queste caratteristiche, si sono adattati meglio e sono sopravissuti tramandando questo sistema “salvavita” alla prole.
Concludo con uno spunto di riflessione: se le emozioni sono presenti innatamente e così pervasive, quale ruolo hanno alla scuola calcio? Quale ruolo hanno nella felicità di ogni persona?