A cura di Luciano Faccioli
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L’ESPERIENZA DI FLUSSO
Ricordo perfettamente quando da bambino non arrivava mai il momento di andare a giocare a pallone, e poi, quando finalmente si inziava a giocare… si finiva subito.
Ho anche bene in mente di come, da adolescente, le ore a scuola non passassero mai, erano un’agonia, al contrario delle feste e delle uscite in compagnia, dove il tempo correva come un lampo.
Anche ora che sono adulto mi capita che le cose interessanti, che faccio con piacere ed entusiasmo, mi passino dentro alla velocità della luce, mentre quelle noiose si incaglino imprigionandomi in un tempo che sembra non finire mai.
Insomma, la mia percezione del tempo sembra non essere cambiata, momenti veloci, per cose che mi piacciono, e momenti lenti, per cose che non mi piacciono, si alternano ancora. Quello che sicuramente cambiato è la loro quantità. Ora i momenti veloci sono di gran lunga più presenti di quelli lenti.
È stato un passaggio graduale. Nel mio percorso di crescita sono aumentati i tempi veloci: evidentemente da piccolo, per la maggior parte del mio tempo, facevo cose noiose, e il tempo era lento, man mano che gli anni passavano, le cose che mi interessavano sono aumentate e il tempo è diventato sempre più veloce. Probabilmente, con l’aumentare dell’età è aumentata anche la mia autodeterminazione, ho potuto cioè scegliere cosa fare e, un po’ alla volta, ho scelto le cose che mi divertono, escludendo via via quelle che mi annoiano.
Mi prendo la licenza di generalizzare questa cosa, attribuendola anche a tutti voi, e allora mi domando:
“Perchè da grandi possiamo scegliere di fare le cose che ci attirano mentre da bambini ci costringono a fare le cose che non ci interessano? Perché i bambini non possono scegliere di fare le cose che gli piacciono?
La risposta più immediata probabilmente è:
“Perché altrimenti giocherebbero tutto il loro tempo e non possono solo giocare, ma devono anche imparare”
A parte che il gioco è il lavoro dei bambini, mi viene però un’altra domanda:
“Ma perché allora i bambini non possono imparare giocando?”
Tutti sanno che per imparare è necessario impegnarsi, ma non tutti sanno che impegnarsi e affrontare seriamente un compito può avvenire anche divertendosi. Sembra che un’onda di pensiero comune porti non solo a scindere il divertimento dall’impegno, ma addirittura indirizzare verso la conclusione che divertirsi equivalga a distrarsi e non applicarsi al compito.
Tenetevi forte per quello che sto per dire: è l’esatto contrario, infatti è il divertimento che favorisce l’impegno.
Quando facciamo un’attività interessante, motivante, coinvolgente, ci stiamo divertendo perchè proviamo gioia e piacere di farla e ci stacchiamo da tutto il resto entrando in quella attività, ci entriamo con tutta la nostra sfera fisico-psicologica e con tutta la nostra energia. Entriamo in un flusso che inibisce le distrazioni e ci permette di essere più attenti, mettendoci nella condizione di fare bene quello che stiamo facendo.
Insomma entrando in questa esperienza di flusso si agisce meglio, si è più efficaci e si impara anche meglio.
Ecco perché i bambini si devono divertire negli ambienti di apprendimento come la scuola calcio: divertendosi si appassionano e apprendono meglio, ma non solo, se li mettiamo nella condizione di apprendere divertendosi, li rendiamo anche più felici.
Per questi motivi sarebbe opportuno iniziare a cambiare i paradigmi educativi della scuola calcio; è necessario strutturare situazioni di apprendimento divertenti e gioiose, incentivare l’autodeterminazione, rivedere il concetto di impegno alla luce del divertimento, rendere la scuola calcio un luogo gioioso e felice.
In questo modo si formeranno giocatori migliori, bambini migliori, persone migliori.