Ciao Gaia, benvenuta su Football idea e grazie di aver accettato il nostro invito.
Per iniziare vorremmo ci parlassi un po’ di te, di quando hai mosso i primi passi nel mondo del calcio come giocatrice e poi come allenatrice.
Ciao a tutti voi e grazie per l’invito. Non so dirvi con precisione come e quando sia cominciata la mia passione per il calcio. Credo di essere nata con un pallone tra i piedi. Ho praticato questo sport per quasi 20 anni tra settore giovanile, Serie A, B e C. Sono patentata Uefa B e laureata sia triennale che magistrale in Scienze Motorie.
Per un periodo della mia vita sono riuscita a conciliare studio universitario, calcio giocato e ruolo di allenatrice nelle società di paese. Da qualche anno a questa parte ho portato avanti l’idea di dedicarmi completamente al ruolo di allenatrice per riuscire ad ampliare le mie competenze. E perché fortunatamente è diventata la mia professione.
Ci parli della tua esperienza al Milan, da dove nasce e quanto ti ha formato e fino ad ora.
Questa in corso è la quinta stagione in rossonero. Sesta, se si considera anche un’annata di stage formativo.
Ho avuto la possibilità di allenare in attività di base e fare da vice in agonistica. Ritengo che le categorie che più mi si addicono siano proprio quelle legate all’attività di base per predisposizione e caratteristiche. Mi fa sentire bene lavorare con bambini e bambine. Stare a contatto continuo con professionisti del settore e poter praticare in un livello così alto è certamente fonte di formazione quotidiana. Se mi guardo indietro sono consapevole di quanto grazie a questa società sia cresciuta sotto tutti i punti di vista.
Le tue esperienze sono sempre state nel settore giovanile? E sempre nel settore femminile?
Ho avuto esperienze anche all’interno dello staff di una prima squadra maschile militante in Serie D. Oltre a questa parentesi formativa, ho avuto a che fare principalmente con settori giovanili maschili e femminili.
A mio parere, non esiste allenatore in grado di essere adatto trasversalmente a tutte le categorie. Per questo credo sia importante sperimentare ed acquisire dimestichezza su diverse fasce d’età ma nello stesso tempo, è bene che ognuno di noi riesca ad indirizzarsi verso ciò che possa considerare ‘’il proprio mondo’’.
Quali sono le maggiori differenze che hai notato nell’allenare dei bambini rispetto a delle bambine e viceversa?
Ritengo che in questo caso ci sia da fare una precisazione: è doveroso confrontare bambini e bambine, non in generale ma a parità di livello.
E’ banale che ci siano differenze tra un bambino professionista e una bambina dilettante e viceversa.
Di base, se dovessi scegliere una caratteristica che contraddistingue un bambino direi la fisicità, inteso come cattiveria agonistica ed aggressività. Una bambina invece su questo aspetto ha piùnecessità di lavorarci. Allo stesso tempo, è molto più determinata e focalizzata verso l’obiettivo con una dedizione ed un’applicazione non indifferenti.
Le differenze tipiche tra uomo e donna, a mio avviso, si denotano maggiormente in età adulta, quindi tra calciatrici e calciatori già formati.
Il calcio femminile, per fortuna, è una realtà in grande crescita. Quali sono gli aspetti più facili e più difficile nel gestire delle giocatrici?
Preferisco rispondere alla domanda rimanendo allineata a ciò che è il “mio campo”, quindi tenera età. Le bambine delineano già caratteristiche caratteriali da vere e proprie donne in miniatura: spesso sono più mature, brillanti ed attente rispetto ai coetanei bambini. Molto predisposte alla fatica ma già accompagnate da qualche sbalzo di umore, oltre che parecchio puntigliose.
Attenzione però a non cadere nei banali pregiudizi culturali. Queste caratteristiche già molto marcate nei bambini derivano altresì da ciò che apprendono nella cultura in cui sono immersi. Lo stereotipo italiano vuole che i bambini siano quelli più movimentati e disordinati, le bambine quelle più studiose e diligenti. Di conseguenza loro stessi introiettano questi concetti e lo sport non ne è esente.
Hai una metodologia che più ti piace e ispira? Come strutturi un allenamento?
Senza voler peccare di presunzione, la metodologia che preferisco è la mia. Personalmente,reputo fondamentale mettere in pratica quella che è la propria idea di calcio. Ogni allenatore, anche inconsciamente crea e porta avanti idee secondo un metodo personale ed unico, da arricchire e smussare in funzione del contesto del momento e dello sport che si evolve.
Il mio allenamento ideale comincia con un breve momento di libertà in cui ci si può svagare individualmente o a piccoli gruppi. Il che, vi assicuro, non è per forza da associare a confusione.
Prosegue con un’esercitazione conosciuta, talvolta analitica, ma comunque specifica al gioco, meglio se sotto forma di sfida e con componente cognitiva. Questo momento è utile per responsabilizzare le giocatrici all’autonomia in quanto si autogestiscono, dirette a turno, da uno o più capitani. Dopo di che, mi piace alternare situazioni semplici e complesse a giochi coordinativi e partite a tema. E per concludere, partita libera. I portieri si alternano con preparatore per lavori specifici e con il gruppo all’interno delle varie situazioni.
Con il sostegno di un preparatore coordinativo o collaboratore diventa più semplice la suddivisione in gruppi e la gestione del lavoro.
Le fasi di un allenamento permettono sicuramente un lavoro più efficace anche se non mi ritengo così legata ad una programmazione rigida. L’effetto curiosità di un giocatore che non si aspetta ciò che dovrà svolgere da lì a momenti, suscita, a mio parere, una maggior attenzione ed incrementa la motivazione.
Infine, il nostro lavoro è supportato quotidianamente da Gianfranco Parma, il quale da molti anni ricopre il ruolo di responsabile tecnico Milan Academy (area ricerca e sviluppo) e del settore giovanile femminile.Ci fornisce linee guida e strumenti per essere allenatori pensanti, proprio come noi stessi richiediamo di essere alle nostre giocatrici.
Qual è la tua idea di percorso “formativo”?
Il “percorso formativo” è la strada che percorrono i nostri giocatori, ognuno con i suoi tempi e le sue caratteristiche. Ognuno di loro possiede tanti traguardi volanti mutevoli sulla linea del tempo.
Sta a noi allenatori guidarli attraverso il ragionamento, sempre con entusiasmo e positività. L’errore più grande che possiamo fare è dare loro un passaggio accompagnandoli secondo la via più breve e più facile.
Un aspetto fondamentale relativo al percorso formativo è riuscire ad organizzare al meglio il proprio lavoro in funzione del tempo a disposizione. Spesso le ore settimanali sono poche. Quindi bisogna fare delle scelte importanti, in quanto diventa inimmaginabile poter mettere in pratica “tutto”. Per questo prediligo il lavoro situazionale, al quale dedico molto più tempo, rispetto a quello analitico. Vorrei sottolineare, per non essere fraintesa, che non ritengo inutile un lavoro specifico di tecnica individuale. Fornire gli strumenti per ampliare il bagaglio tecnico è una buona via. Purché il riscontro avvenga all’interno della realtà di gioco. Un giocatore oggi deve sapersi adattare e scegliere nel minor tempo possibile in un contesto complicatissimo. L’allenamento, dunque, permette di abituare i giocatori a saper reagire ad innumerevoli e svariati stimoli che il gioco offre. Il mio modo di lavorare prevede che venga affinata la qualità all’interno di un’intensità globale.
Inoltre, ritengo fondamentale che i giocatori conoscano il perché di ciò che mettono in pratica (chiamiamola “consapevolezza situazionale”) e percepiscano profondamente i propri punti di forza, aspetti da migliorare e vissuto emotivo (chiamiamola “consapevolezza prestativa“).
Ad ogni modo, l’approccio, il modo di essere e di relazionarsi di ognuno di noi, sono essenziali, banalmente “come” vengono interpretati e messi in pratica i contenuti.
Vivendo a pieno e da tanti anni la crescita del settore femminile, pensi ad oggi siano adeguate le proposte e gli eventi per le ragazzine? Noi stiamo vedendo la nascita di tante piccole realtà nuove dilettantistiche, però si ritrovano bambine e ragazze che vogliono scoprire questo sport ma con vari anni di esperienza in meno rispetto a i coetanei maschi, e poche possibilità di “recuperare” il tempo in quanto, ad esempio, una dodicenne si ritrova già proiettata in un calcio a 9 con le enorme difficoltà che esso implica. Potrebbe essere una soluzione ridisegnare il percorso, introducendo manifestazioni a numero ridotto di giocatori, per colmare il gap?
Potrei scrivere per ore in risposta a questa domanda molto interessante. Cercherò di essere breve. I numeri sono in netta crescita, ma le proposte e gli eventi non sono mai sufficienti. Le bambine andrebbero coinvolte attraverso attività scolastiche ed extra-scolastiche per far conoscere il movimento. In Lombardia abbiamo la fortuna di avere numerose società che si dedicano al femminile, ognuna con le proprie possibilità e risorse. In altre regioni non è lo stesso, in quanto esistono purtroppo situazioni in cui una bambina non ha la possibilità di confrontarsi con coetanee. Vi garantisco però che il livello si sta alzando notevolmente. Ci vorranno ancora una decina di anni per far sì che si possa equilibrare con il resto d’Europa dove il calcio femminile è all’ordine del giorno. Pazienza, lavoro e persone giuste al posto giusto. Questa potrebbe essere la chiave per toglierci qualche soddisfazione in più. Intanto, il Mondiale è stato un grandissimo segnale e questo fa ben sperare.
Inoltre, le ragazze devono assolutamente trovare un contesto confortevole. Ad esempio le Giovanissime U15 giocano a 9 con un pallone di taglia 4. Ritengo che sia facilitante e anche più avvincente piuttosto che essere catapultate improvvisamente nel calcio a 11 con pallone di taglia 5. Relativamente ad una U12 di oggi mi sento di aggiungere che laddove il livello sia elevato (per esempio nel nostro caso) possa tranquillamente esprimersi al meglio anche con pari età maschili a 9. Se un allenatore trasmette in modo efficace i propri principi alla squadra, le giocatrici non avranno problemi ad occupare il campo e ad esprimere la propria identità, indipendentemente dall’età e dalle dimensioni del campo. Nel momento in cui invece, il livello non è idoneo dal punto di vista qualitativo e quantitativo è giusto che si faccia un passo indietro per il bene delle proprie giocatrici. Ma questo discorso è da considerare valido sia per il femminile che per il maschile. Chi è pronto osa, chi non lo è invece,ci arriverà con i propri tempi. Attraverso la fretta non si ottiene nulla, soprattutto nel settore giovanile.
Facendo una piccola analisi di te, quali pensi sono i tuoi punti di forza e quali dove vorresti migliorare?
I miei punti di forza ritengo siano creatività, empatia ed adattamento.
Non ci sono aspetti che non potrei migliorare, in quanto ritengo di avere una mentalità aperta al confronto ed esigente a partire da me stessa. Se dovessi scegliere due aspetti direi la conoscenza di lingue straniere applicate al gioco del calcio e l’acquisizione di competenze relative alla tattica collettiva degli adulti.
Grazie mille Gaia a te e all’Ac Milan per il tempo e la disponibilità che ci avete concesso. Ci piacerebbe chiudessi l’intervista come preferisci tu, con un saluto, un punto di vista, uno spunto:
Mi permetto di dare un paio di consigli ai giovani allenatori e allenatrici che vorrebbero cimentarsi in questa avventura. Siate curiosi e abbiate fame di imparare ogni giorno, prendete spunti da chiunque e adattate alle vostre necessità. Cercate continuamente il confronto, la condivisione e ragionate con la vostra testa. Comunicate con i vostri giocatori e le vostre giocatrici, fin dai primi calci, vi garantisco che sarà una continua scoperta oltre che piacevole sorpresa.
Grazie mille per la possibilità agli amici di Football Idea, continuerò a seguirvi.