È un piacere Mister averti nostro ospite, un piacere e un onore perché al di là della preparazione e della professionalità inerente al calcio, è bello confrontarsi con te perchè troviamo affascinante come riesci a contaminare questa disciplina sportiva con cotegorie e mondi diversi come l’arte e la filofofia. Ma da sempre hai avuto questa visione “olistica” di questo sport o l’hai maturata nel tempo?
E’ una visione maturata solo dopo che ho smesso di allenare e sono entrato alla Scuola Allenatori. Prima da giocatore e poi da allenatore, si è immersi nelle problematiche quotidiane e si ha poco tempo per riflettere. Io ho deciso di non allenare più perchè mi rendevo conto che ciò che proponevo non mi apparteneva più, ho dato la colpa ai giocatori ritenendoli poco motivati e poco disponibili a seguirmi, ma, in effetti, successivamente ho capito che il problema era mio. Non credevo più in quello che proponevo, non mi soddisfaceva, ed avevo bisogno di fermarmi per capirne il motivo. Solo dopo ho capito che il mio approccio al gioco era sbagliato, appunto perché non partiva dalla vera realtà del gioco e dei suoi elementi. Dovevo capire meglio il gioco e allora, inevitabilmente, per capire la realtà del gioco, i suoi reali elementi da cui ricavare i bisogni dei giocatori, è necessario conoscere gli aspetti anche filosofici corretti che ci possono avvicinare alla comprensione del gioco. Da qui la convinzione di studiare e approfondire i paradigmi della complessità, del pensiero sistemico, in quanto il gioco è complesso e va affrontato utilizzando una forma di pensiero complesso, sistemico appunto. Se ci si addentra nella filosofia sistemica è inevitabile arrivare a dover considerare gli aspetti estetici, artistici che caratterizzano il gioco.
Abbiamo letto i tuoi due libri “Il senso del gioco” e “Il primato del gioco”, oltre a seguirti sulla pagina facebook “Allenatori Ispiratori”, e le ispirazioni sono sempre veramente tante e di qualità. Puoi dirci brevemente come vedi il gioco del calcio e come pensi si debba formare un giocatore di calcio?
Io credo che un giocatore impara a giocare solo dal gioco. Il compito dell’allenatore deve essere solo quello di non intralciare il processo gioco-giocatore. Per far questo e quindi contribuire, non tanto alla formazione quanto a garantire un adeguato supporto al giocatore per poter imparare a giocare, deve cercare di capire i reali bisogni del giocatore, capire quale metodo di allenamento utilizzare per favorire il miglioramento delle abilità calcistiche. Le abilità hanno sempre un origine tattica che vuol dire saper scegliere di fare delle cose prima di eseguirle, quindi, sulla base di questo, strutturare processi di allenamento che stimolino continuamente i giocatori a fare delle cose dopo averle scelte. Le scelte si possono fare solo se ci alleniamo nelle situazioni di gioco con avversari, perchè sono questi che ci “costringono” a dover percepire delle cose e a doverle scegliere prima di eseguirle. Allora, le diverse proposte situazionali, consentono al giocatore di utilizzare tutti i fattori prestativi, sia fisici, sia tecnici che psicologici che vanno utilizzati congiuntamente e non separatamente. E’ un compito molto più impegnativo per l’allenatore perchè deve saper costruire dei mezzi di allenamento che vanno modificati continuamente in base alle risposte che può o non può ottenere.
Questo modo di vedere il calcio l’hai sempre avuto o l’hai costruito pian piano nel tempo? E se è stata un’evoluzione e una ricerca personale, qual’è stata la scintilla da cui è partito?
Credo di averti risposto nella prima domanda.
Noi di football idea ci occupiamo di scuola calcio. Secondo te una scuola calcio quali principi del gioco del calcio dovrebbe far sviluppare ai bambini prima del loro ingresso nella fascia pre-agonistica dei givanissimi?
Prima di tutto nella Scuola Calcio si deve tendere ad un equilibrato sviluppo di tutte le dimensioni della personalità, non solo quella motoria ma anche e, soprattutto, quella cognitiva, emotivo affettiva e socio relazionale. Si deve tenere in considerazione le diverse tappe di sviluppo neuronale dei bambini, quindi partire dal divertimento-giocare per favorire il riconoscimento del proprio corpo nelle categorie iniziali, per poi nei Pulcini tendere attraverso il divertimento e il gioco a far riconoscere che il calcio è il giocare insieme ai compagni, quindi negli Esordienti iniziare la trasmissione dei principi degli elementi basilari per imparare a giocare, quelli dei passaggi e dei movimenti di collaborazione difensiva attraverso le coperture. In pratica: nei Piccoli Amici le situazioni migliori sono quelle di 1vs1, nei Pulcini di 2vs1 e negli Esorsienti di 2vs2. Queste situazioni rispettano la fase di sviluppo neuronale. Certo, la domanda è molto complessa, e per avere una risposta più esauriente….dovrei scrivere un libro!
E quali principi morali una scuola calcio dovrebbe avere come fondamenta e, allo stesso tempo, quali principi morali dovrebbe trasmettere ai bambini? Sia nell’ottica della formazione della persona che del calciatore.
I principi morali su cui deve basarsi una scuola calcio sono innanzitutto quelli che favoriscono l’inclusione e non l’esclusione, le pari opportunità per tutti i bambini, la competenza e la disponibilità a lavorare solo ed esclusivamente nell’interesse dei ragazzi. Favorire un ambiente sereno e solidale, mettere sempre il divertimento e la gioia di giocare al primo posto ed evitare si sovraccaricare i bambini di stress o di ansia da prestazione. Poi si devono trasmettere i principi che tendano a saper vivere armonicamente all’interno di un Gruppo e, quindi, saper definire delle regole di comportamento chiare e condivisibili da tutti, per primo dagli istruttori e dai genitori. Bisogna ricordare che i bambini hanno dei modelli di riferimento precisi, I genitori, la maestra a scuola e poi l’allenatore, l’ideale sarebbe trovare un’interazione collaborativa con queste tre figure, se non è possible, il modello dell’allenatore deve essere eticamente inattaccabile.
Ti facciamo queste domande perché noi di footballidea, siamo convinti che una scuola calcio sia a tutti gli effetti un’agenzia educativa e come tale non debba limitarsi ad insegnare il gioco del calcio, ma debba andare anche ad agire sullo sviluppo generale della persona. Anche perché siamo convinti che per essere un buon giocatore di calcio sia fondamentale essere anche una buona persona. Tu che ne pensi?
Perfettamente d’accordo, la Scuola Calcio deve cercare di contribuire all’equilibrato sviluppo di tutte le dimensioni della personalità del ragazzo, non solo quella relativa all’aspetto motorio. Il bambino è un essere umano e come tale dobbiamo rispettare il carattere della sua complessità, non possiamo disgiungere le parti che formano il suo tutto, l’apprendimento motorio è sempre influenzato dagli aspetti cognitive, emotive, affettivi e socio-relazionali.
Grazie davvero per la disponibilità. Finiamo questa intervista con un tuo pensiero personale sul calcio e sulle scuole calcio.
I responsabili di una Scuola Calcio hanno grandissime responsabilità. Vedo in giro troppa approssimazione, ricerca esclusiva della quota d’iscrizione a discapito degli interessi principali dei ragazzi. Servono controlli e rilascio di licenze molto più articolati, controlli periodici e una formazione più specifica per gli istruttori. Serve, soprattutto, un controllo Federale, gestito da persone competenti da figure formate per quello, altrimenti non riusciremo mai a soddisfare appieno i reali bisogni e le reali necessità dei bambini.