Ciao e benvenuto su Football Idea e grazie di aver accettato il nostro invito.
Per iniziare vorremmo ci parlassi un po’ di te e di quando hai mosso i primi passi nel mondo del calcio:
Ciao, per prima cosa grazie a voi per l’invito. Io ho giocato a calcio fin da bambino ed ho dovuto smettere all’età di 14 anni a seguito di una poco simpatica doppia operazione al femore, dopo di che a 17 anni ho sentito il desiderio di tornare sul campo ed ho iniziato ad allenare nella scuola calcio del Ceriale grazie all’incontro con Maurizio Biggi, un maestro nel creare le condizioni affinché il “piccolo giocatore” possa scoprire la propria personalità ed il proprio talento. Il successivo incontro chiave che ha caratterizzato il mio percorso è stato quello con Davide Brunello, colui il quale mi ha aperto le porte della mente su tutto quello che concerne il calcio inteso nella sua globalità, dalla metodologia dell’allenamento all’unicità di ogni essere umano. Senza tali incontri sarebbe stato molto più difficile incanalare la spinta che mi ha portato ad intraprendere questa strada in quanto, oltre ad essere diventati degli amici nel senso più stretto del termine, mi hanno fornito le coordinate per andare alla scoperta dell’ignoto.
Ci parleresti della tua attuale esperienza e del periodo trascorso nel settore giovanile del Genoa con i pulcini e come collaboratore tecnico in lega pro con Stellini. Quale categoria prediligi?
Attualmente alleno la Juniores del Pietra Ligure e svolgo il ruolo di Vice allenatore nella prima squadra guidata da Mario Pisano, un’esperienza particolare da una parte per le difficoltà incontrate durante la stagione agonistica e dall’altra per l’elevata qualità professionale delle figure con le quali si condivide il lavoro. L’esperienza nel Genoa è stata molto formativa per comprendere a pieno il significato dell’urgenza di un obiettivo, sia esso didattico o legato ad uno specifico risultato. Sotto questo punto di vista la presenza di una persona come Andrea Bianchi nel ruolo di responsabile della Scuola Calcio ha costituito un valore aggiunto al mio percorso, sia sotto il profilo umano sia sotto quello della mera competenza di campo. Prima di ricevere la chiamata del Genoa, mi è stata data l’opportunità di allenare i Giovanissimi del Ceriale con il supporto di un preparatore atletico straordinario ed in quel momento alla sua prima esperienza, Michele Benso, e durante la stagione è nato il rapporto con Cristian Stellini, sfociato nell’esperienza di Match Analyst nella Primavera del Genoa prima e ad Alessandria poi. Questo tipo di vissuto, unito al campionato Allievi con la Baia Alassio dove ho avuto la fortuna di lavorare con un gruppo di ragazzi meraviglioso, mi ha permesso di avere una buona panoramica delle diverse sfumature legate ai primi ruoli. A livello di allenatore, sicuramente, l’esperienza con gli Allievi è stata quella in cui sono riuscito ad essere più efficace e questo a mio modo di vedere è legato sia alla fascia di età sia alla possibilità di lavorare con maggior continuità rispetto a quanto accade normalmente in un campionato Juniores. Per quanto riguarda invece il ruolo di Match Analyst non credo si possa legare tanto ad una categoria, quanto alla stima tecnica oltre che umana che si instaura con l’allenatore e sotto questo punto di vista è stato un privilegio non misurabile lavorare con Stellini.
Ci racconteresti della tua importante esperienza ‘in Lega Pro?
L’esperienza ad Alessandria è stata un concentrato di cose difficili da definire, fondamentale per la mia crescita. Dal punto di vista pratico, lavoro di campo a parte, il lavoro si svolgeva in maniera multidirezionale. Il primo compito era quella di analisi degli avversari, attraverso l’osservazione delle 4/6 partite precedenti (con particolare attenzione alle squadre affrontate con proposte simili alle nostre) e l’osservazione delle statistiche, per poi redarre una relazione scritta che concentrasse gli aspetti ridondanti e la produzioni di un numero variabile di video in base alla struttura della settimana e al carico di informazione richiesto dall’allenatore; in secondo ordine di tempo, si andava a lavorare sulla nostra partita precedente, attraverso la creazione di tagli dai quali poi selezionare le parti che sarebbero state sottoposte alla squadra in sede di sala video.
Sei davvero giovane e hai già scritto un bellissimo che consigliamo a tutti: “Laboratorio Guardiola” che consigliamo. Ce ne parli?
Laboratorio Guardiola è nato senza che io me ne accorgessi. Inizialmente l’idea era quella di sintetizzare tutte le informazioni, raccolte da altri o frutto di mie considerazioni, in merito al modello di gioco di Pep Guardiola. Ogni sintesi, però, apriva la porta ad altre domande e questo portava alla necessità di una nuova sintesi. Nel momento in cui ho letto il documento che stava emergendo mi sono trovato davanti ad un bivio: tenerlo per me in singola copia o andare a studiare approfonditamente le singole partite del Bayern Monaco per de-strutturarne l’evoluzione dei principi di gioco e le strategie di gara per poi farne un libro. Ho optato per la seconda strada e ne è venuto fuori un processo a spirale che va dal semplice al complesso e contemporaneamente da un’analisi inizialmente più globale ad una più analitica. In tutto questo è stato prezioso il supporto di Michele Benso che, oltre ad aver scritto un capitolo legato a sistemi complessi e alle modalità di apprendimento, ha condiviso le intuizioni che talvolta scaturivano da un’osservazione quasi ossessiva da parte mia per tradurle in concetti.
Parliamo di campo. A quale metodologia ti ispiri e utilizzi?
Credo in una metodologia integrata e nella considerazione del giocatore come unità funzionale nella quale le qualità emergenti del tutto sono superiori e talvolta diverse dalla singole parti che lo costituiscono. Tuttavia, questo è un discorso che è stato sviscerato in maniera notevole negli ultimi periodi. Sotto questo punto di vista, io non escludo parti di allenamento volte ad incrementare una singola abilità affinché il calciatore possa focalizzare per una finestra di tempo ristretta tutte le proprie energie su una determinata area di miglioramento, per poi ricondurre il tutto alla sua naturale complessità nel corso della seduta. L’idea è quella di gerarchizzare i parametri di qualità, intensità, quantità e densità. Se la squadra riesce ad interpretare una proposta soddisfatto contemporaneamente tutti i parametri il lavoro viene svolto in maniera completamente integrata, viceversa nel momento in cui questo non è provvisoriamente possibile si va a ricercare la massima qualità per poi integrare con esercitazioni differenziate i singoli aspetti che non hanno consentito il raggiungimento dei valori richiesti. Questo accade anche quando si vuole andare ad incrementare una specifica componente, sempre tenendo presente la necessità di ottimizzarla in un regime di complessità più aperto.
Qual è la tua idea di formazione nei settori giovanili?
La mia idea di formazione nei settori giovanili ha come primo scopo lo sviluppo della tecnica e della tattica individuale nel rispetto delle predisposizioni del soggetto, abbinate all’evoluzione di un pensiero collettivo che consideri il comportamento dei compagni e degli avversari. Il nostro è un gioco di abilità ma anche di strategia ed entrambi gli aspetti richiedono di essere interiorizzati attraverso l’acquisizione di intenzioni ed abitudini. Ciò che a mio avviso viene sviluppato troppo poco è quella che Giorgio Nardone definisce la capacità di andare “oltre se stessi” dei giovani calciatori. Sotto questo punto di vista credo che se da una parte è vero che l’istruttore debba rappresentare un facilitatore di apprendimento, dall’altra egli dovrebbe “somministrare” ogni giorno una difficoltà alle persone con le quali si rapporta, al fine di far emergere i potenziali nascosti e la resilienza necessaria a saper affrontare le difficoltà che la competizione richiede. Non l’allenatore, ripeto, ma la competizione.
Ci parleresti di come strutturi e organizzi la settimana?
La settimana da un punto di vista tattico si sviluppa attraverso un’alternanza di giorni nei quali si lavora su macro principi e principi di gioco ed altri nei quali quest’ultimi vengono abbinati ai sotto principi. Nella fase iniziale la scelta è determinata più da quanto osservato nella partita precedente, mentre con l’avvicinarsi della partita successiva il focus si sposta sulla strategia. Tutto ciò che sta nel mezzo fa riferimento allo sviluppo del modello di gioco, nei suo aspetti tecnici, tattici, fisici e psicologici. Il carico psicologico è sicuramente più elevato al centro della settimana, per poi alleggerire leggermente la quantità e la complessità con l’avvicinarsi del sabato/domenica al fine di reclutare tutte le energie psico-fisiche. Dal punto di vista fisico, avendo due giorni di recupero dopo la partita, il primo giorno si sviluppano prevalentemente le componenti della forza sia in senso orizzontale sia in senso verticale per poi terminare con un lavoro aerobico (la scelta non è ottimale dal mio punti di vista ma è legata all’adattamento che occorre avere in determinate di spazio e tempo), il secondo giorno ripropone situazioni il più possibile vicine alla gara integrate con lavori di RSA, mentre il terzo giorno si concentra sugli elementi di rapidità e velocità.
Parlando di te.. quali pensi siano i tuoi punti di forza e quali le debolezze da migliorare?
Questa è una domanda che andrebbe rivolta alle persone con le quali ho condiviso e condivido tutt’ora il percorso. Personalmente credo di avere la necessità di migliorare nella gestione di alcune interazioni e di avere nella capacità di creare le condizioni affinché si sviluppi il “pensiero tattico” altrui un punto di forza.
Per concludere, nel ringraziarti ti chiediamo dove ti vedi nel futuro?
Mi vedo in un contesto nel quale possa esprimere i miei punti di forza ed allo stesso tempo essere costretto ad “uccidere” i miei punti deboli. Grazie mille a voi di Football Idea.