A cura di Faccioli Luciano
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“Quel ragazzo potrebbe fare meglio, ma è svogliato”
“Quel che manca ai giovani d’oggi è la voglia”
Sento (troppo) spesso frasi di questo tipo. Non è che le ritenga false a priori, posso concordare sul fatto che un ragazzo abbia più o meno voglia di fare una cosa. Sono però sempre molto scettico riguardo l’uso e il senso che si attribuisce alla parola “voglia” e soprattutto non condivido la superficialità con cui si usa.
Cosa significa non avere voglia? Guardate che è una cosa seria! E non si può liquidare la questione con frasi come:
“Eh sì, quello è un fannullone”
“Lascia stare va’, di far fatica neanche ci pensa”
Bisogna invece cercare di capire il perché!
– perché un ragazzo non ha voglia? –
– perché un ragazzo non è disposto al sacrificio? –
Buoni tutti a liquidare la cosa come fannullonaggine o rammollimento.
Prima di tutto faccio una cosa, abolisco la parola “voglia” e la sostituisco con la parola “motivazione” e poi cercherò di fare esempi concreti per chiarire cosa sia la motivazione e come incida sull’energia e la costanza di fare una cosa o meno.
Comincio con il dire che la parola motivazione è un concetto molto complesso, che comprende più sfere della psicologia della persona e dipende quindi da svariati fattori:
– idea di sé
– orientamento motivazionale
– livello di autodeterminazione
– interesse
– attribuzioni di causa
– teoria dell’intelligenza
Quindi perché un ragazzo non dovrebbe essere motivato a fare una cosa?
Forse perchè pensa di non essere in grado di farla (idea di sé). Le sue esperienze passate, i feed back ricevuti, le aspettative degli adulti, le emozioni conseguenti provate creano un’idea di se stessi e questa diventa un importante aspetto motivazionale che incide sulla motivazione di fare e di persistere nell’attività.
Potrebbe anche essere che il ragazzo sia abituato a fare una cosa solo o preminentemente per averne una ricompensa esterna, come il voto o la vittoria (motivazione estrinseca) e non per il piacere di farla e per una crescita personale (motivazione intrinseca). In questo caso di fronte alla difficoltà, alla brutta prestazione o ad un insuccesso, che innescherebbero emozioni negative, meglio lasciare.
Magari non è motivato per il fatto di essere obbligato ad eseguire consegne e non poter essere libero di decidere (autodeterminazione). Tutto ciò toglie benzina motivazionale e alla lunga determina l’abbandono, per il fatto che questa situazione di dissonanza (tra quello che sono e quello che vorrei essere) crea una elevata tensione emotiva dalla quale è meglio stare alla larga per il proprio benessere.
E se fosse che non è motivato perchè non ha un reale interesse per quella attività? Magari è stato spinto e convinto a intraprenderla quando in realtà avrebbe fatto altro. Ecco che durante l’attività non è gratificato perché non si innescano quelle emozioni positive che sono il cuore di ogni attività umana e non prova mai una piena esperienza di flusso.
Quando si fa una cosa si tende ad attribure il motivo del successo e dell’insuccesso ed aspetti diversi (attribuzione di causa) che possono essere interni o esterni, controllabili o incontrollabili. Ovviamente attribuzioni interne e controllabili, come l’impegno, sono più efficaci rispetto ad attribuzioni esterne e incontrollabili come la fortuna. Ecco che un ragazzo che fonda i suoi risultati su attribuzioni interne e controllabili sarà più motivato perchè avrà più fiducia nelle sue azioni e sarà più protetto dai fallimenti rispetto ad uno che punta invece su attribuzioni esterne e incontrollabili. Nel caso in questione potrebbe essere che, a fronte del fallimento e alle conseguenti emozioni negative, il ragazzo pensi che dipenda tutto dalla fortuna o da una innata abilità che, visto il risultato negativo, lui evidentemente non possiede; in questo caso meglio lasciar perdere.
Le teorie dell’intelligenza riguardano il fatto di pensare l’intelligenza e le capacità come entità prestabilite o migliorabili. Intuitivo pensare che chi pensa che si possa migliorare abbia più fiducia e sia più motivato a continuare, anche di fronte alle sconfitte; chi invece pensa che le capacità siano fisse e prederminate, di fronte agli insuccessi e alla paura di questi, tende a lasciare il compito. Nel ragazzo in questione quindi, probabilmente saranno predominanti le idee di un’intelligenza fissa piuttosto che incrementale.
Avrete sicuramente notato che ho evidenziato le parole inerenti agli aspetti motivazionali, ma anche le parole inerenti alle emozioni, questo perché non bisogna mai scordare che le emozioni vengono sempre prima: infatti se si punta a motivare un bambino della Scuola Calcio indirizzandolo verso una buona idea di sé, orientandolo verso una motivazione intrinseca, lasciandogli un margine di libertà decisionale, coltivando i suoi interessi, puntando la sua attenzione sull’impegno e facendogli capire che si può sempre migliorare, tutto questo non farà altro che andare ad elicitare in lui buone emozioni, emozioni positive che lo sosterranno nel suo percorso di crescita calcistica e personale, lo renderanno un bambino felice e non gli faranno passare la voglia di giocare a calcio.